La silloge Nel grembo della parola inaugura un cammino di
scoperta lirico-metaforico dove segni e segnali, personali e collettivi,
sono scovati nella terra-madre archetipica e culturale: «parola nel mio
grembo / fino all'altrove / di un pensiero che scorre e diviene /
sostanza perenne dello sguardo / assorto / nell'urgenza
dell'invisibile». Nella poetica di Paola Capocelli, popolata da fiumi,
vento, terra, nuvole, erba, avanza l’illusione di divenire tutt’uno con
la natura eterna, di acquisire l’unità del Noi insieme a sfumature
dell’Assoluto. Nei dettagli delle mani, della bocca, degli occhi, tra
intimità e lontananza, si riflette il macrocosmo della pioggia e
dell’arsura, della luce lunare e del calore del sole. Procede spedito e
autentico il decorso di fenomeni e storie vissute nel reale, sfogliati
in un assiduo progress di pagine. È il disegno stratificato di
un insieme utopico idealistico, mescolato però con il mondo: ad esempio,
là dove la Capocelli sovrappone volontariamente il sogno all’evidenza
delle cose. L’elemento ritmico dei versi, cadenzato e frammentario, è
influenzato dalla tipica tendenza “a salti” degli impulsi del cuore:
visioni nette e distinte, frantumate in scelte concise, riportano le
tracce di un amore sentito nelle vene, provato sulla pelle, raccolto
sulle labbra. Fino a sfiorare la trasgressione, leitmotiv
sotterraneo nell’intero repertorio. Si afferma così l’idea centrale di
assegnare al linguaggio poetico la funzione di aiutare a vivere,
esprimendo una «poesia del quotidiano» dove «resiste al vento il verso».