Igea Arnao ci consegna un messaggio intimo, diretto, e insieme
arcano: ci chiede un atto di sfida e di solitario ardimento analogo a
quello compiuto da lei stessa, quasi una battaglia nel corso della quale
l’avversario decide di rimanere velato. Ogni lettore, critico, può
tentare di raggiungere per approssimazioni il centro mobile di un’opera
poetica che ha la folgorante autonomia di un sogno; e brama di
appropriarsi della norma che gli permetta di individuarne l’origine. Si
compie, così, una sorte enigmaticamente prefigurata dalla stessa Igea
nei versi accecanti di un destino di eterna, elusiva contemporaneità che
nel consenso insinua il dubbio, come se nella poesia ognuno ricercasse
l’Igea del proprio sogno. O sogno/ regalami la passione/che languida mi prenda/e mi ricopra di fiori/innamorati. Nel
suo poema ci parla di sé in metafore che definiscono una figura
interiore in conflitto con un se stessa che rischia di domarla. Quando,
dopo gli anni della giovinezza, affollati di incontri e di eventi, la
sua vita sembra virare verso il vuoto, nel silenzio apparente dei suoi
giorni essa si riempie di una moltitudine di voci, mentre sulla strada/ della passione/ petali di rose/ si disperdono al vento. Igea è regina, ribelle, donna in bianco, prima ancora di sigillare la sua scelta di solitudine consacrata alla poesia. Sui miei passi piove/Piove ancora/Sui miei passi lenti e bagnati.../Piove... Il
suo «io» lirico si frange in una vorticosa molteplicità di sincerità,
di personificazioni, di verità senza tradire mai il patto che lo vincola
al soggetto vivente. Lei stessa sembra spingerci a ricercare, al di là
dei veli e degli schermi, la sua identità mentre ci fornisce una nuova
meta non solo della propria poesia, ma di se stessa poeta: la scrivente
solitaria che, tracciando sul foglio bianco parole per un destinatario
ignoto, gli ricorda come la sua poesia sia scritta nell’attesa
consegnata al tempo, racchiusa in uno spazio sigillato, pienamente
esistente soltanto nel contatto fisico con la mano di chi, tolto il
sigillo, leggerà.Al suo «io» lirico Igea, posseduta dal potere della
lingua, affida la funzione primaria di garante e testimone della nascita
della parola: lo riduce a puro pronome, che può parlare per tutti e per
nessuno, quindi anche per la folla di identità inesplose che il poeta
ospita in sé come visitatori misteriosi di altri mondi.Nella poesia
avviene l'esplosione: l’amore si spacca e i semi delle potenzialità
interiori erompono in una ridda di voci. Così la figura della regina
sancisce in un lessico di corone e diademi, sigilli e gioielli, il rango
supremo conquistato tramite un’esperienza d’amore iniziatico che
coincide con l'esercizio della poesia. Il giorno muore tra le braccia/della notte/Anch’io
muoio per rivederti/al mattino che nasce e/porta con sé/onirici
pensieri .../ma il tempo sfalda lo specchio/del rimorso/dove annega la
tua immagine… Sulle pagine si gioca il destino della
lingua, si rinnova il conflitto tra eros e thanatos, si compie l’atto di
conoscenza. E, in questo orizzonte, l’«io» è tanto soggetto quanto
oggetto e campo d'azione; il cosmo si fa magmaticamente presente in
un’inclinazione della luce; Porta con sé/il mistero/di un brivido di luce/lungo la mia schiena. Un brivido percorre l’anima del lettore e non chiede altro che raggiungere quel sogno che vive nel cuore del poeta e quando sola/guardo al mio domani/ sperduta tra lande/oscure innevate. La
sua vita non sembra vulcanica perché nessuno sospetta la violenza delle
emozioni che la scuotono, la sua dizione poetica obbedisce
all’incantata quiete che precede l’eruzione. Nel corso della sua
sperimentazione Igea giunge a vedere dentro se stessa non solo
un'immagine di aggressività repressa, ma anche un preciso modello di
linguaggio che consenta l'accesso alle energie del profondo, del sogno,
dell'inconscio. Ti penso e ti voglio/nei pensieri tutti miei./Ti avvolgo in scintille di luci/che danzano con la mia anima/di fuoco. Le immagini aleggiano tra le labbra di fuoco come
un vulcano, conoscono una misteriosa alternanza di suoni e di silenzi
motivati da una interiore necessità; si aprono, veritiere, per poi
esplodere ancora in emozioni vibranti nella notte profonda/ mentre il respiro dei miei pensieri dà luce/ad una nuova alba. Lo
stesso violento potere di trasformazione possiede, per Igea, la poesia:
come i grandi sommovimenti sismici essa provoca lo sgretolarsi di ogni
punto certo di riferimento e senza regole sprigiona l’amore che come
piccole gocce di sogno rimbalzano.../si posano sulla pelle nuda/.La
Poesia dizione contratta al limite del comprensibile, diviene
nitidissima se letta e indagata in ogni suo componente, in ogni nesso di
congiunzione volontariamente sensuale e passionale, per intensità e
respiro. Un evento amoroso, inattuabile e pure accaduto – un’esperienza
unica Le braccia si intrecciano/come i nostri pensieri/Ed io sono qui/con te/per te/in un gioco di vita e di morte./Sempre con te/.Una
vibrazione narrativa, come onde che si rincorrono e si accavallano per
infrangersi contro rive che raccolgono il calore del sole e il suo fulgore,/mentre/gli occhi si aprono sulla terra/che non muta,/e il mare disperde le sue onde/oltre l'orizzonte./ Senza farsi mai storia compiuta, l’amore si sussegue, di poesia in poesia e senza fretta/attendo che tu/apra gli occhi/e mi doni una nuova alba. Il
sigillo dell'incontro - cintura, diadema, perla o velo bianco, leggero
come un sudario - sancisce un cimento vittorioso perché la lingua che lo
descrive incide, come un coltello, sull’amante lontano: nella trasparenza/ della luna/mentre/il cielo sopra noi/mi guarda con i tuoi/occhi innamorati. Il
desiderio scuote l’«io» con l'impeto di una forza sconosciuta, non si
estingue ma contagia della sua energia eversiva il sogno, la
rimemorazione e, infine, il pensiero inquietante e nobile: eppure ti ho sognato/sul mio corpo steso al sole/baciato dal vento/e da un amore che non muore. La voce che esclama: sento la tua carezza/che lieve ricopre la coscienza/attenta e intrisa di speranza. Nella sua poesia non si spegne quella vista notturna che dirige il movimento verso l'altro. Nell'incontro gli amanti rincorrono l'alba.../...carezza del cuore.../rimangono abbracciati. L’opera
di Igea Arnao mostra una percezione nuova dei suoni della sua poesia.
Lei stessa la suggerisce o la impone nelle sue ricorrenti definizioni
dei suoni della natura, dove le voci incrociate del vento sono
seduzione, sacrilegio, abbandono, sapienza divina, acquisita nella
pratica della propria, unica, vocalità perché dalle sue labbra è uscito
il segreto che ha il sapore di eternità.

