Venerdì Santo  (Alle madri che non hanno sogni)

human-3164554jpgVenerdì Santo

 (Alle madri che non hanno sogni)

 

Perché Signore

non hai permesso

al grembo

tenero e candido

fonte di luce

d’illuminarsi?

Non hai dato a lei

il piacere di stringere

il figlio sognato?

Non hai dato discendenza

a colei che di sorriso

tingeva le sue giornate?

Hai strappato dal suo ventre

il frutto dell’amore,

il frutto del domani.

Hai inaridito

la feconda terra

e il chicco di grano

mai più germoglierà.

Perché Signore? Perché?

La silenziosa linfa

appena si leva

giace esanime

negando all’anima di volare.

Il suo grembo è vivo

e reclama vita.

Le sue notti sono nell’attesa,

il suo domani è nell’incertezza.

Non conosco i tuoi disegni Dio

ma la tua misericordia più non s’attardi.

Per lei non ci sarà la Pasqua,

l’amore non risorgerà

Dio, perché?

Restituisci forza e coraggio

a lei che più non spera in Te,

in quel dolore straziante

allarga le tue braccia e

genera una Vita nuova.

 

“Perché il tuo Dio mi ha fatto questo?”

Mi chiedeva una donna che non aveva avuto il dono della maternità. Perché ogni mese è una sofferenza e vivo in un’ansia continua pensando sempre che finalmente è il mese giusto, che ce l’ho fatta ma con grande tristezza e rammarico la conclusione è sempre la stessa. Mai e poi mai, ma non per presunzione, mi sarei immaginata che sarebbe successo questo, di tutte le cose che uno può immaginare possano accadere in una vita, a questo non ci avevo mai pensato. E quando mi fermo a pensare a tutto quanto sta accadendo penso: in fondo ho chiesto solo di avere un figlio non mi sembra una cosa così assurda! Non credo di essere una persona cattiva eppure per me non è prevista questa gioia. Ma perché? E dove trovo la forza di farmene una ragione e tornare a vivere serenamente come prima ? Era Venerdì Santo, era il giorno del silenzio, sapevo che le mie parole erano come la pioggia che le scivolano sulle pareti dell’anima senza lasciare traccia, solo un fastidio di bagnato. Potevo solo starle accanto ed ascoltare l’urlo del suo cuore. E nella prostrazione della croce con la faccia a terra ricordavo a Cristo che quella donna che fin da bambina era già mamma. Perché allora privarla del dono più grande? Non c'era un metodo per spazzare via il suo passato, era strettamente legato  ad essa. Con il tempo, piano, piano ha accettato la sofferenza, ed ha liberato il dolore. Attraverso la sofferenza ha imparato ad amare. Perché la sofferenza porta con sé una grande lezione, il perdono. Quando c’è sofferenza c’è sempre qualcosa o qualcuno a cui “donare” te stesso. Possiamo essere noi stessi quelli a cui far dono dell’amore oppure può essere qualcuno che ci ha profondamente ferito. Ma ciò che conta è capire, attraverso il dolore, che dobbiamo amare e dobbiamo amarci ovvero far dono di noi stessi. E ad una innocente domanda di una curiosa ragazzina che le chiese: “Dov'è il tuo bambino?” Lei rispose: “Il mio bambino si chiama Amore. È piccolo, piccolo e sta chiuso nel mio cuore ma quando esce irradia di luce tutte le persone che incontra. Ed io sono felice.