Santiago de Compostela
Santiago de Compostela
(La fede in me!)
Non so se continuare questo tormento ritmico
o se la grazia della quiete mi è stata concessa.
L’apostolo chiede una messa in sacrificio per le mie pene
ma il cuore vuole prima un segno
che allontani la bufera del dubbio funesto.
Così attraverso la Meseta
lievemente ondulata,
arida, in un simbolismo
fatto di conchiglie e paladini.
Il passato di dolore, le sconfitte dello spirito,
i traumi della coscienza sono stati evocati,
fatti traboccare in provvisori equilibri
che dureranno fino al nuovo tempo del tormento,
sino alla stagione del nuovo raccolto.
È il cammino di Santiago
dove ogni anno sotto un sole cocente e un’insolita pioggia,
i pellegrini portano un suono cupo in solchi lacerati nell’anima,
di tormenti, di macigni e lapidi,
come formiche penitenti vanno verso la Cattedrale
nell’auspicio d’esser liberati dal male,
aspettando dalle forti labbra dell’Apostolo
una parola che annienti il dolore
portato sulle spalle come una croce dalla pietra dura.
Questo è il grande giorno,
per una volta essi scrollano il peso e l’angoscia
del loro ignorato numero nella società,
dove i diritti elementari mai concessi sono negati,
ora, possono recitare la loro disperazione
davanti ad una folla di penitenti.
Intanto giungono altri pellegrini con la stessa speranza
e si ripercuote nel loro cuore il supplizio,
perché il dolore come il rimorso
è aspro e amaro da sottomettere.
È notte,
l’ultimo viandante arriva in calesse per unirsi ai penitenti
che si sono stretti a pregare.
Qui l’espiazione inizia la sua morte
interdetta alla pietà cristiana.
La musica, la danza, disarticola nella disciplina del ritmo
moltiplica le possibilità di contagio
in queste frane della psiche,
ma nella cappella del Crocifisso
è già alla sua parabola la crisi.
Quello che può sembrare coreografia o folclore
entra nel campo del mistero e dell’ignoto.
Ma nell’evoluzione del mondo d’oggi
questa antica eredità medioevale
consuma ormai il suo ultimo atto
ed io ritorno al mio breve tempo.
L’esistenza si
snoda nel tempo, ed io, nello scorrere degli anni mi assopisco nel silenzio che
segue. Il passato
diventa storia personale e s’incontra con la storia degli altri e in questo
legame fatto di incontri, avvenimenti, emozioni, speranze, amori negati e
amicizie distrutte, giungo le mani e vado oltre… Ma tutti sono
stati fondamentali per la progressiva configurazione della mia identità. Il
tempo diventa sempre di più un presente senza radici e senza futuro, solo un
momentaneo e fuggevole susseguirsi di istanti ed immagini sfocate, dove siamo
prigionieri di un passato che nulla ci ha insegnato. Un passato dal
sapore amaro, dove l’infanzia non è più recupe-rabile, resta solo l’ostinato
desiderio di renderlo ancora presente e attuale. Non so, ma di
una cosa ne sono certo, attendo con ansia l’età della saggezza perché diventi
maestro di quello che sarà considerato degno di essere consegnato alle
generazioni future in aiuto al loro inizio.