La finestra di Capri  (ad Axel Munthe)

La finestra di Capri

 (ad Axel Munthe)

 

Vorrei che tu,

venissi con me una sera d’autunno,

prima che la notte discende sui colori del giardino

e stretti assieme, dietro i vetri, io e te

guardare l’orizzonte solitario

e quasi malinconico

che c’invita a rivivere

momenti indelebili

nel cuore di chi l’amor conosce.

Passeggiare con te,

per gli stessi sentieri fatati,

con passi timidi, sospesi tra torri

e volatili presi d’amore e cinguettii briosi.

Guardare entrambi il segreto che c’avvolge

e con sorrisi fiduciosi affidare al vento

antiche favole di re senza nome

e amanti misteriosi

mai passati sotto quegli alberi incantati

che dicono con voce umana,

e poi…

camminare ancora

nella notte verso un riflesso lontano, lontano, e addormentarci sotto le stelle,

cullati dal mare.

Dietro ai vetri, io e te

in quella sera d’autunno

ci ameremo come mai fin d’ora,

e con la tua testa appoggiata sul tuo cuore

mi perderei nell’infinito amor dell’anima tua.

 

La “Finestra di Capri” è una poesia dedicata a tutti coloro che vivono una grande amicizia o un amore profondo, vivere un sentimento che non ti fa più dire “io” ma ti fa pronunciare un pronome, “noi”, perché la vita di ognuno di noi è unita a quella dell’altro, in una comunione e intimità di affetti, di scelte, di ideali. Axel Munthe è stato un uomo che ha vissuto una vita nell’amicizia e nell’amore. Ha avuto un amore grande per gli uomini, gli animali, la natura e tutto ciò che lo circondava. Ancora oggi su molte case di capri usano esporre una mattonella in ceramica bianca all’ingresso come fece per primo Axel Munthe. Il suo sogno fu di costruire una casa “aperta al sole, al vento, al mare come un tempio greco. E luce, luce ovunque”. Axel Munthe visse a Capri più di cinquantasei anni, non poteva vivere a Parigi, malgrado fu un clinico di valore, dotato di un eccezionale ascendente sui suoi pazienti. Medico di molti personaggi importanti quali i reali di Svezia, non disdegnò di offrire il suo aiuto a chiunque, povero o ricco, abbisognasse della sua opera.  Malgrado viene presentato come un uomo che aveva un’anima complessa ma comunque non lasciava indifferenti. I suoi progetti “erano sempre visioni ampie, grandiose”. Giunse ad Anacapri nel 1884 e decise di stabilirsi definitivamente nel 1887, esercitando la professione di medico condotto. Non appena mise piede sull’isola, Munthe s’innamorò di alcune rovine di una piccola cappella medioevale dedicata a San Michele, circondata da un gran vigneto che celava i resti di una villa romana. Munthe acquistò tutta la montagna per realizzare uno splendido giardino, Concepì egli stesso la Villa e ne seguì i lavori personalmente. Chi è aperto all’amore vede grandi cose davanti a sé. Axel portò avanti il suo progetto di vita di cui oggi a noi resta “Villa San Michele”, “il santuario della bellezza” come lui stesso amava definirlo. In questo scenario cominciò a lavorare la mia fantasia, quei luoghi mi diventarono intimi e come una dolce sensazione sulla pelle, un’intenzione misteriosa mi sussurrava che quello era il momento di incamminarmi. Oltrepassai la piccola casa deserta con i suoi antichi mobili, le sue sculture, carichi di fascino e di mistero. Camminavo lungo lo stretto e diritto viale dove lui stesso aveva piantato i cipressi in una notte di luna piena.   In quella passeggiata mi piaceva pensare di essere accanto a lui. E fu proprio in quell’atmosfera in un gioco di luci ed ombre che mi affiancò, e mi guidò lungo un corridoio dalle pareti di calce bianchissima e sullo sfondo una sfinge che guardava verso il mare. E quando volli sporgermi per capire cosa stesse osservando la sfinge, lui si voltò lentamente, offrendomi un profilo aguzzo ed elegante, notai il suo vestito bianco, il suo panciotto ottocentesco e un lampo balenò nei suoi occhi azzurri, e una strana e profonda dolcezza andò a dipingere un sorriso di intensa felicità sulle sue labbra sottili. Non parlò, non si mosse, ma tornò a guardare il mare. La strana presenza mi intimidì, e così, fu allora che guardandomi con il volto fiero e buono mi disse: “Io amo ciò che la sfinge osserva, ma no ho mai saputo cosa in verità scrutava e scruta, questa mia compagna di pietra per questo che io torno”.  Poi con un cenno mi invitò a proseguire nella sua oasi tra bianche colonne e colori stupendi. In lontananza tra due cipressi appena piantati, tra due colonne del pergolato, stava seduta su un muretto la principessa Vittoria di Svezia una donna di una delicata bellezza che resterà sua amica, anche quando diventerà regina per 37 anni fino alla sua morte. Lo guardò ed io lo lasciai andare. Lei gli andò incontro sorridente, vestita di bianca lana dell’isola; ai piedi ha semplici scarpe di tela con suole di corda, un cappello di paglia le proteggeva il capo, l'apparecchio fotografico le penzola a tracolla e insieme si allontanano verso un riflesso lontano, e in quella sera d’autunno si amarono come mai,  e con la sua testa appoggiata sul suo cuore si smarrirono nell’infinito amor del loro segreto.


 

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