La Costa Pompeiana in un passo di Seneca

LA COSTA POMPEIANA IN UN PASSO DI SENECA

Seneca descrive in questi termini la costa pompeiana: «Pompeios, celebrem Campaniae urbem, in quam ab altera parte Surrentinum Stabianumque litus, ab altera Herculanense conveniunt, mareque ex aperto reductum, amoeno sinu cingunt»
L’amenità del seno marino si estendeva al retroterra: la valle bagnata dal Sarno, un fiume di cui Vibio ci ha rinviato l’origine, alle falde del monte Saro 2, Silio la mitezza 3, Strabone la navigabilità 4, Stazio gli ozi 5, suppongo le scampagnate sulle sue rive, mentre Virgilio pone l’accento sulla fertilità dei campi 6. Un quadro ecologico estremamente positivo cui pose fine, e fu una sosta secolare, l’eruzione vesuviana del 79 d.C.
L ’eruzione, informa Plinio il Giovane, ebbe inizio nelle prime ore del 24 agosto con un’abbondante caduta di cenere e poi di pomici e pietre nere frantumate dal fuoco, che avviò il rinterro della rada da Miseno a Stabia. Tutti cercano di fuggire. Plinio il Vecchio s’imbarca a Miseno per portare aiuto ai suoi amici di Stabia, dove approda felicemente e incontra Pomponiano in attesa che cessi il vento contrario per imbarcarsi a sua volta. Vento di sud-est, dunque: situata a sud-est del vulcano, la valle del Sarno fu interessata dal fenomeno fin dal primo momento 7. Dopo i convenevoli d ’uso e lo scambio d ’informazioni. Plinio si ritira in una stanza e s’addormenta; ma viene subito svegliato perché le materie eruttate dal vulcano cominciano ad ostruire la porta e potrebbero impedirgli di uscire. La caduta del materiale proclitico continuò per tutto il 24 e il giorno seguente, mentre il mare, scrive ancora il giovane Plinio, si «riassorbiva» (praeterea mare in se resorberi), tant’è che all’alba del 26 tutto, intorno, apparve mutato, coperto da un alto strato di cenere, come neve (mutata omnia, altoque cinere, tamquam nive, obducta) 8.  
L ’alto strato di cenere ci ha restituito un buon numero di strutture murarie e altro materiale archeologico, scoperto in parte durante i lavori di trasformazione del Sarno in canale navigabile dalla foce al polverificio di Scafati, negli anni borbonici, in parte nel l’intensa stagione di ricerche attivata per commemorare il 18° centenario dell’eruzione, in parte casualmente. Datate tra il 1832 e il 1925, le evidenze archeologiche sono, in ge nere, illustrate con competenza ed onestà culturale da chi le scoprì, e sono state già utilizzate per ricostruire la parte pii! importante della costa descritta da Seneca. Ma se è vero che la ricerca storica è un fatto collettivo e permanente, determinato dalla disponibilità di nuovi documenti e strumenti di lavoro, vai bene rileggerle, per confermare o correggere le conoscenze acquisite.    
Un gruppo compatto di strutture murarie costituì quella che chiamerei area archeologica del Sarno, a valle della S.S. 145 per Castellammare di Stabia, tra la località S. Antonio e il ponte delle Figliole sul fiume Sarno 9 (fig. 1). Risaltava, al centro dell'area, una serie di sedici tabernae con superiore ammezzato e un porticato sorretto da colonne di laterizio o di tufo incastrate tra pilastri di mattoni. In una taverna era dipinto il fiume come penate, graffita su un pilastro l’epigrafe nautae, in un magazzino il banco di mescita. Molti scheletri umani, oggetti personali di valore, utensili marinareschi e monete 5 di varia fusione dei periodi repubblicano ed imperiale. L’edificio era fondato su un piano murario a metri 5,20 dal piano di campagna e 1,38 sul livello del mare.
A nord (mulino di Bottaro) furono rinvenuti ruderi informi in opus reticulatum ed opus incertum, altre strutture murarie fondate a due metri s.l.m. e, a breve distanza, un busto di marinaio, un tal Sextus Pompeius Ruma, e una lapide la cui epigrafe faceva presumere, nelle vicinanze, un tempio dedicato a Nettuno. Nei pressi del ponte delle Figliole (Ponte nuovo in fig. 1) vennero alla luce due magazzini genericamente definiti «antichi», anfore, monete, altri edifici rustici con oggetti di valore e, su un banco di sabbia a cinquanta centimetri sotto il livello del mare, scheletri umani ed anfore. Sui due lati del canale a servizio del mulino De Rosa, furono scoperti ruderi di edifici che il Sogliano descrive «anteriori al 79, fondati direttamente nell’arena dell’antico lido, senza dubbio magazzini coordinati al commercio del porto di Pompei» 10. Infine, in località Ponte della Persica,
furono recuperati ruderi giudicati «di scarso interesse» 11. . . . n   Studi per ricostruire il profilo della costa sono stati condotti da diversi studiosi . Nel 1879 l’architetto Michele Ruggiero rilevò la stratigrafia del territorio compreso tra la S.S. 145 per Castellammare di Stabia e la battigia attraverso quattordici saggi, e propose la costa pompeiana lungo un’ampia curva disegnata tra i pozzi 6 e 7 e ad est del pozzo 10, tutti a nord del Samo. Non andò oltre in quanto persuaso, dall’assenza di sabbia e conchiglie marine nei pozzi 13 e 14, che a sud del decimo saggio non fossero intervenute variazioni di rilievo rispetto allo stato dei luoghi esistente prima dell’eruzione 13 (fig. 1).
Nel 1913 l ’ingegnere Jacono identificò la costa pompeiana col gradone naturale che taglia la S.S. 18 a sud di Torre Annunziata e si dispiega approssimativamente parallelo all’attuale linea della battigia fino a Ponte della Persica, dove Jacono localizzò l’antica foce del Sarno 14. L ’ipotesi fu condivisa nel 1937 dal Sogliano (fig. 2), che inoltre difese con risolutezza la tesi del porto marittimo di Pompei contro i sostenitori di un porto fluviale, e oppose il passo di Piino il Giovane sul rinterro del golfo («praeterea mare in se resorberi, et tremore terrae quasi repelli videbatur, certe processerat litus multaque animalia maris siccis arenis detinebat») alla opinione del Ruggiero secondo cui la colmata della baia non era avvenuta durante l’eruzione ma gradualmente nel corso dei secoli 15.
Il Ruggiero aveva ipotizzato che la cenere e il lapillo, materiali leggeri, fossero stati rimossi dalle onde a mano a mano che si depositavano. Tutti, comunque, accettarono l’identificazione dell’area archeologica col borgo marinaro.  
Le ipotesi vanno discusse tenendo conto della contemporanea situazione archeologica. Quando il Ruggiero attivò la sua ricerca, nei pressi della costa erano conosciuti solo parte dei ruderi qui elencati. Poi un quadro archeologico più completo suggerì ipotesi nuove e tuttavia non convincenti, per un certo disinteresse verso le stratigrafie del Ruggiero.
Oggi la situazione è cambiata, nel senso che l’area archeologica non esiste più; ma è l’ae-rofotogrammetria della zona a permettere, sulla base dei pozzi Ruggiero e degli elementi archeologici rinvenuti in seguito, un approfondimento del problema.
Le stratigrafie si possono dividere in due gruppi, secondo l’altezza del materiale vulcanico di riporto. Nei primi tre pozzi si leggono, ordinatamente, metri 4,36 - 3,02 - 4,80 di cenere e lapillo, mescolati o meno con sabbia; nei pozzi da 3 a 14, il brusco abbassa 6 mento di altezza del materiale vulcanico tra i punti 3 e 4, da metri 4,80 a metri 0,15, si lega agli altri punti, tutti più vicini alla battigia, in cui il lapillo si mantiene al di sotto dei venti centimetri, fino a scomparire del tutto l6. Ciò fa supporre che l’«alto strato di cenere» che aveva provocato il rinterro della baia (la testimonianza di Plinio non può essere ignorata), sia stato in un secondo tempo riassorbito dal mare, disperso al largo e quindi sostituito nel corso dei secoli dai normali rinterri di origine marina e fluviale.
Quanto all’ipotesi Jacono-Sogliano, vedrei nel gradone naturale da essi evidenziato il profilo originario, in età storica, della costa, modificato dai depositi alluvionali del Sarno, che ne costituirono un altro, più o meno parallelo, a quota più bassa: quello, appunto, visto da Seneca. Attestano ciò i ruderi al piede dello sperone su cui fu supposta Yaedes Neptuni, fondati a due metri sul livello del mare, e i magazzini «fondati direttamente nel l’arena dell’antico lido», a valle del ponte delle Figliole (v. nota 10). Per cui la costa pompeiana doveva svilupparsi non tra i pozzi 6 e 7 (Ruggiero), né in corrispondenza del gradone (Jacono-Sogliano), ma tra i pozzi 4 e 5, con una curva verso sud tracciata pressappoco a metà distanza tra quelle in discussione e in ogni caso ad occidente di tutti i pozzi dove i materiali sedimentari e l’assenza di arena fanno supporre la terraferma. La curva è disegnata in figura 3, alla presumibile distanza di metri 1.300 dalla costa odierna.
La costa qui recuperata non cancella né corregge quelle discusse, ma vi si affianca. Troppo lacunosa è la documentazione disponibile perché si possa pretendere di proporre una tesi definitiva sull’argomento. Siamo nel campo delle ipotesi non probabili ma semplicemente possibili, nulla di più. E nel campo delle ipotesi possibili dev’essere inquadrata anche la ricerca del punto in cui la costa si apriva sulla foce del Sarno.
Su ciò è necessario precisare che l’attuale corso del fiume a valle di Scafati non è quello ricostituitosi dopo la scomparsa sotto le ceneri e i lapilli del 79, ma quello che gl’ingegneri borbonici corressero verso la metà del secolo scorso, con l’eliminazione di numerose anse, per renderlo navigabile 17 (fig. 4). Particolarmente tortuose scorrevanole acque nei pressi della foce, dove la doppia ansa a Ponte della Persica riproduceva, vista dall’alto, una figura singolarmente simile a quella di un pianoro, sul quale è opportuno soffermarsi.
Si tratta di un rilievo orientato nella stessa direzione della doppia ansa di Ponte della Persica, di larghezze variabili da 60 a 250 metri, che si sviluppa da nord della S.S. 18 alla località S. Antonio (aedes Neptuni), e si eleva sul piano di campagna per altezze variabili da metri 0,50 a 2,50. L ’orientamento del pianoro da nord-ovest a sud-est, cioè indirezione del Vesuvio, e la lingua di lava preistorica annotata dal Ruggiero al pozzo 1 (v. nota 16), fanno supporre, nel quadro morfologico della valle 18, una seconda, sotto stante lingua di lava che potrebbe spingersi fino a Ponte della Persica, dove il rilievo si confonde con la campagna, a profondità tali da avere costretto le acque del Sarno ad aprirsi un letto che ne disegnava il contorno. Troverebbe in tal caso una spiegazione logica la somiglianza pianimetrica tra il pianoro e il corso d ’acqua, con l’inevitabile deduzione che
la doppia ansa di Ponte della Persica risaliva all’età pompeiana: non potendo superare l’ostacolo costituito dalla lingua di lava, il fiume ne disegnava il perimetro.
L ’ipotesi risale ai miei studi sulla navigabilità del Sarno attraverso i secoli (v. nota 7 17), dove il fiume è riprodotto graficamente in tutto simile a quello preborbonico, ad ovest del borgo marinaro e a monte di una morbida ansa che indirizzava le acque verso il mare (fig. 5). Non risulta che Jacono abbia seguito lo stesso ragionamento nel proporre un di segno simile ma con la foce a Ponte della Persica (v. fig. 2). In ogni caso, ancora una volta non intendo cancellare né correggere le ipotesi di chi mi ha preceduto. Intendo aggiungerne un’altra, di ipotesi, basata sia sul presupposto che la lingua di lava riproduca fedelmente il sovrastante pianoro (non raggiunga, cioè, Ponte della Persica), sia sulla navigabilità del Sarno pompeiano, da riaffermare col sussidio di nuovi elementi documentali.
Com’è noto, la navigazione fluviale è legata ad una serie di fattori concomitanti: linearità dell’alveo, vegetazione sulle sponde e sul fondo, depositi di materiali estranei, erosioni, eccetera. Ma è soprattutto condizionata dalla velocità dell’acqua, determinata in modo fondamentale dalla pendenza. Gl’ingegneri borbonici dovettero costruire una conca di navigazione al ponte delle Figliole per ridurre la pendenza dell’alveo. Nel I secolo d.C. le conche di navigazione erano affatto sconosciute; ma è possibile istituire un confronto tra la pendenza giudicata necessaria nel XIX secolo per raggiungere lo scopo e quella naturale del corso d ’acqua in età pompeiana, attraverso le evidenze archeologiche registrate durante i lavori.
Lungo o nelle immediate adiacenze del fiume disponiamo di quattro buoni punti di riferimento (v. fig. 4). Il primo lo conosciamo già: sono le tabemae col piano di spiccato a metri 1,38 s.m.m. I piani di spiccato corrispondono, entro stretti limiti, al piano di campagna, che possiamo dunque supporre a quota 1,40. A quota leggermente superiore, 1,45, era il piano di campagna a circa 800 metri a monte, dove furono misurati dalla quota attuale (6,30), in occasione del ritrovamento di un centinaio di tronchi di cipresso e di strutture murarie, 0,80 metri di humus, 1,30 di cenere, 1,05 di lapillo bianco e da metri 1,30 a 2,10 (media 1,70) di lapillo rosso bruniccio «tipico dell’eruzione del 79» 19.
Nei pressi del polverificio di Scafati fu scoperto un edificio a novantadue centimetri dal piano di campagna, e misurati tredici centimetri di lapillo rosso e «un profondo filone di lapillo bianco e sciolto». Lo scavo fu sospeso, per infiltrazioni d ’acqua, a sette palmi dal suolo (circa metri 1,50), ma fu possibile verificare che l’edificio era composto dal solo pianterreno, per cui l’altezza complessiva può essere presumibilmente stabilita in quattro metri, e il piano di campagna pompeiano, nel quale erano visibili le fondazioni ad archi e pilastri, a cinque metri da quello attuale (7,90), cioè a quota 2,90 s.m.m. 20. A Scafati infine, all’incrocio della strada che costeggia il rio Sguazzatorio con quella per S. Antonio Abate (quota 9,60), fu studiata un’altra casa di cui è detto che «tutta l’altezza de’ materiali vulcanici che l ’ingombrano è di 22 palmi circa», cioè metri 5,80. Aggiunti cinquanta centimetri di humus (v. nota 18), la quota originaria risulta a metri 3,30
21 s.m.m. La campagna pompeiana lungo il fiume, dunque, si estendeva per quattro chilometri,
in modo uniforme, tra le quote 1,40 delle tabernae e 3,30 del luogo dove sarebbe sorta Scafati, quindi con una pendenza dello 0,50%Qche possiamo estendere al fiume, considera to parallelo al piano di campagna. Una pendenza che poteva essere anche inferiore, se supponiamo il fiume non rettilineo come oggi ma moderatamente curvilineo, secondo natura. 8 Sono valori sensibilmente più bassi della pendenza adottata dai tecnici borbonici tra il ponte delle Figliole e il mare, 0,66%Q“ , che dovrebbero eliminare i residui dubbi sull’aderenza del passo di Strabone alla realtà. E se si può osservare che il parallelismo tra il corso d ’acqua e il piano di campagna è solo presupposto, non documentato, è altresì vero che un eventuale non parallelismo non produrrebbe variazioni di rilievo rispetto alla conclusione raggiunta, per la pochezza dei valori in gioco. Ferma, infatti, a zero la quota superficiale del fiume alla foce, una pendenza superiore a quella di campagna, anche se
contenuta in valori minimi, avrebbe ridotto il franco di piena 23 fino a provocare continui straripamenti e quindi una situazione ecologica in chiaro contrasto con quella rinviataci dalla letteratura classica.
Il presupposto della corrispondenza pianimetrica tra la lingua di lava e il sovrastante pianoro, cancellando l ’ostacolo che nella precedente ipotesi deviava il fiume verso Ponte della Persica, modifica la situazione dei luoghi nel senso che il corso d ’acqua dev’essere ora immaginato attraverso il borgo marinaro, con l’eliminazione dell’ansa valliva e lo sbocco diretto a mare (v. fig. 6). Non torno sulla questione del porto, se marittimo (Sogliano) o fluviale (Mau, Baratta, me stesso ed altri), per la totale assenza di validi sostegni documentali.
Si allineano a questo punto della ricerca tre ipotesi sul profilo della costa pompeiana, due sul rapporto pianimetrico tra il Sarno e il borgo marinaro, e due sullo sbocco a mare del fiume. Chi ha esposto il problema è, come tutti, affezionato alle proprie idee, ma deve ammettere l ’obiettiva difficoltà di costruire una ipotesi topograficamente persuasiva sul passo di Seneca. Contribuiscono ad appesantire la situazione le ricerche sul bradisismo costiero, condotte da più studiosi tra i quali mi limito a citare Guenther e Sogliano, che si pongono ai poli estremi delle conclusioni proposte. Il primo ha valutato in cinque metri la depressione della costa pompeiana rispetto all’epoca romana, il secondo è convinto che «l’antico lido trovasi attualmente a qualche metro sul livello del mare» 24. Se fosse veri ficata l’ipotesi Sogliano, le conclusioni qui raggiunte rimarrebbero sostanzialmente inalterate; ma se fosse il Guenther ad aver visto giusto, nulla di quanto si è detto avrebbe più valore e queste pagine si porrebbero soltanto come base topografica all'attualità di un discorso tutto da fare. In ogni caso, la questione rimane aperta.

 ARCANGELO R. AMAROTTA    

Bollettino storico di Salerno e Principato Citra. A.10, n.1/2 (1992)
 

NOTE
Seneca, Nat. Quaes., VI, 1, 1.
Vibio Sequestre, De flum.: «Sarnus Nuceriae ex Saro monte oritur, per Campaniam decurrens».
3 Silio Italico, Punic., Vili, 536 s.: «Sarrastes etiam populos, totasque videres / Sarni mitis opes».
4 Strabone, Geogr., V, 247: «Est autem hoc [Pompei] commune navale Nolae, Nuceriae, et Acerrarum, Sarno amne merces simul excipiente, et emittente. Super haec loca situs est Vesuvius mons».

5 Stazio, Silv., I, 2, 262 ss.: «Nitidum consurgat ad aethera tellus / Eubois et tumeat Sebethos alumna: / nec sibi sulphureis Lucrinae Naides centris / nec Pompeiani placeant magis otia Sarni».
6 Virgilio, Aenei's, VII, 738: «Sarrastis populos et quae rigat aequora Sarnus».
7 Plinii C.S. Epist., VI, XVI.
8 Ivi, VI, XX.
9 Le «figliole» che davano il nome al ponte, costruito negli anni borbonici, erano quattro sirene di ferro che, nel decorare le testate, ricordavano la bonifica della valle. Scomparvero col crollo del ponte, fatto saltare dalle truppe tedesche in ritirata, ma sono rimaste ben radicate nella memoria storica.
10 A. SOGLIANO, Pompei nel suo sviluppo storico. Pompei preromana, Roma 1937, pp. 18 ss. Citazione a p. 22.
11 M. RUGGIERO, Degli scavi di antichità nelle province di terraferma dell’antico regno di Napoli, dal 1743 al 1876, Napoli 1888, p. 93.   

12“ Segnalo gli studi più significativi, nei quali sono discussi saggi precedenti che nulla aggiungerebbero a questa ricerca.
13 M. RUGGIERO, Della eruzione del Vesuvio nell’anno LXXIX, in Pompei e la regione sotterrata dal
Vesuvio, Napoli 1879, pp. 8 ss.
L. JACONO, Note di archeologia marittima, in «Neapolis», I, fase. Ili e IV, 1913.
SOGLIANO, Pompei, cit., pp. 22 ss.
RUGGIERO, Eruzione, cit. pp. 8 ss.:


Dipinto di : Manuel Domínguez Sánchez, Il suicidio di Seneca, 1871, Museo Nacional del Prado, Madrid