Convegno sulla mafia – Aversa (CE)

TRA STORIE ED ETERNITA’

 Questo è un bel momento. Davvero un gran momento. Siamo tutti qui, in silenzio. Ad ascoltare. Qui, oggi, si è parlato di mafia, di camorra. E parlare di mafia, camorra, si sa, è un gran bel rischio. Per chi ne parla veramente. Poi ci sono invece coloro che ne parlano, ma non realmente. Si riempiono la bocca di frasi fatte, luoghi comuni. Belle parole. Ma vuote e  insignificanti.      
La mia più grande speranza è che oggi si sia parlato davvero di mafia. Perché abbiamo bisogno che se ne parli. Abbiamo bisogno delle parole. Non di quelle che volano, come spesso si usa dire. C’è bisogno di parole pesanti come macigni e sottili come carta velina. In modo tale che possano penetrare facilmente nella nostra testa. In modo tale che possano premere sul nostro cervello.

Non è pienamente veritiero il detto “le parole non contano, contano i fatti”. I fatti sono fondamentali. Imprescindibili. Ma hanno una potenza ancor maggiore se accompagnati dall’informazione, dalla parola. Se usiamo la parola i fatti non possono essere nascosti. Voglio essere sincero, non so bene cosa sia la mafia. So che è un’associazione criminale. E poi? Cosa conosco della mafia? Poco o nulla. Chi comprende cosa sia la mafia sono le persone che l’hanno vissuta, toccandola con mano. Chi comprende la mafia è un magistrato che sacrifica la propria vita per combatterla, vivendo nella paura che la sua scelta possa condizionare anche quella delle persone a lui care. Chi la comprende appieno è chi si accorge realmente della sua esistenza, sfidandola.    

 E’ necessario essere consapevoli che non aver vissuto mai la mafia non significa affatto che questa non si trovi dietro ad ogni angolo della nostra piccola città. Non significa che questa non sia infiltrata in ogni apparato che riguarda la nostra vita, da una cosa così apparentemente banale come la spazzatura, agli organi che dovrebbero governarci.      
La mafia è dietro l’assegnazione degli appalti. E’ dietro la droga. Il fumo. Le armi. Ma anche dietro i vestiti. Il cibo. I giocattoli. La mafia è ovunque. E noi non ce ne accorgiamo. Tendiamo sempre a considerare con scarsa importanza, e così appare distante anni luce dalla nostra vita e ce ne laviamo le mani. Le nostre mani tuttavia sono tanto sporche quanto quelle dei mafiosi. Forse anche di più. La mafia è sotto ai nostri occhi e facciamo finta di non vederla. Questo fa la fortuna della mafia, lo fa da sempre. E’ necessario conoscere la mafia per poterla combattere. È fondamentale.

Noi abbiamo una sola via per combatterla “la cultura”.

La cultura, la conoscenza, aprono la nostra mente alla riflessione ed al coraggio, al rispetto degli altri e alla tolleranza; ci rende migliori, ci rende più liberi. Scriveva Borsellino: La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Non esiste cultura fuori della società. Non esiste cultura fuori della storia, se per cultura s’intende quel complesso di manifestazioni della vita, materiale, sociale e spirituale, di un popolo in un dato momento storico. Manifestazioni che comprendono la conoscenza, le credenze religiose, l’arte, la morale, la legge, le tradizioni, i costumi e ogni altra abitudine e capacità acquisita dall’uomo, come membro della società. Capacità non solo di apprendere, ma anche di trasmettere valori e conoscenza alle generazioni future.

Il mio grido stasera è rivolto ai giovani che dovrebbero gremire quest’aula e invece non lo è. Mi rivolgo a loro perché, da sempre, sono i più sensibili nel recepire tutto ciò che viene da scelte esistenziali forti, da esempi di vita. Ai giovani piace ascoltare più volentieri i testimoni che i maestri. Il maestro sale in cattedra addita una via, un ideale da seguire; il testimone vive questo ideale sulla propria pelle, lo fa suo senza paura e rischia il tutto per tutto.

Ecco perché i migliori maestri sono  coloro che riescono ad infondere la “cultura” con il loro esempio, mostrano di condividere e praticare le idee, gli ideali, i valori che difendono.

 Cerchiamo, dunque, noi adulti di essere il più possibile credibili e coerenti per avvicinarci ad essere dei veri testimoni. La sfida di oggi è la sedimentazione culturale di quei principi che la mentalità mafiosa intende cancellare.

 È dei giovani la voglia di cambiare il mondo, di combattere le ingiustizie, di reagire alle prepotenze ed ai soprusi, di contrastare le illegalità, ma purtroppo, la violenza, la frequenza dei reati, la presenza della criminalità organizzata, ancora oggi, rimane una componente strutturale nei nostri territori, dove molti cittadini sono costretti a vivere in condizioni di sudditanza, di intimidazione e di omertà, dove traumatico è il contatto con l’ambiente, con alcuni quartieri, con la loro realtà di miseria, di disoccupazione, di carcere, di dolore e di morte.

I nostri ragazzi hanno bisogno di legarsi a modelli positivi.

Migliaia di giovani del Sud intravedono nel loro futuro soltanto violenza, sopraffazione e disoccupazione; costretti al clientelismo, al richiesta del favore, alla negazione dei più elementari diritti.

 Per migliaia di ragazze e di ragazzi del Mezzogiorno, nel corso di decenni la politica, lo Stato e la legalità non hanno sinora rappresentato né dignità né futuro.

 Lo Stato deve ricostruire un rapporto di fiducia con queste generazioni.  Così come noi adulti che abbiamo la responsabilità della memoria.

 I ragazzi di oggi all’epoca di certi fatti, come le stragi di Falcone e Borsellino, erano dei bambini.

 Quelle stragi hanno dato vita ad emozioni molto forti e diffuse, che hanno generato, un’eccezionale, meravigliosa partecipazione alla protesta contro la violenza, la barbarie di una mafia che fa saltare in aria rappresentanti delle istituzioni, colpevoli solo di avere fatto il proprio dovere, di una mafia che uccide bambini, preti, vittime innocenti.

  La classe dirigente avrebbe dovuto cavalcare l’onda emotiva e riorganizzare le forze sociali per soddisfare le esigenze di quella gente, invece gli  interessi materiali e individuali hanno soffocato l’impeto di rivolta morale.

Una grossa responsabilità grava anche  sulla coscienza di una Chiesa che lasciò soli Don Peppe Diana e Don Pino Puglisi soffocando per sempre le grida di Giovanni Paolo II ad Agrigento. Si è preferito tornare nei confessionali, luoghi sicuri e protetti.  

Quando i cittadini non vedono risultati di efficienza e di benessere sociale, non vedono perseguiti interessi collettivi, non vedono trasparenza e pulizia morale, allora sì che si rischia che prenda il sopravvento la delusione, la sfiducia, il declino etnico, l’indifferenza, la rassegnazione.

 Bisogna ricostruire la “legalità” con l’impegno di tutti: sia di coloro che rappresentano gli interessi dei cittadini nei partiti, nella politica, nelle istituzioni,  sia con l’impegno dei singoli, degli stessi cittadini.

 La repressione della criminalità mafiosa dev’essere accompagnata dall’antimafia della correttezza della politica, dell’efficienza della pubblica amministrazione, della scuola funzionante, delle regole del libero mercato.

 Non è giustificabile la corruzione, i favoritismi, i compromessi, l’intimidazione, la violenza, il finanziamento illegale della politica, la compravendita degli appalti, l’appropriazione dei finanziamenti pubblici, lo svuotamento delle casse delle aziende pubbliche, il taglieggiamento di quelle private.

  Perché il sangue di Falcone e Borsellino non sia stato versato invano si impone all’attenzione di tutti la costante presenza, la pericolosità e l’attualità del fenomeno mafioso. Il loro sacrificio rimane un monito alle coscienze di tutti gli italiani.

 Spesso mi chiedo: Perché sono morti? Erano dei sognatori, degli idealisti, degli utopisti? Forse!

 Certamente sono la testimonianza di chi ha pagato con la vita il sogno di un Paese migliore, liberato dalle troppe ingiustizie e illegalità.

 Ci si voglia o non ci si voglia credere sono le utopie che fanno la storia.

L’utopia ha una sua forza inarrestabile che cresce nella misura in cui qualcuno dimostra che vi è un mutamento possibile rispetto alla situazione che si vive in un dato momento storico. Perciò dobbiamo e vogliamo sperare che non solo le utopie del passato trovino sempre una nuova spinta per continuare a produrre il mutamento, ma che nuove ne sorgano per portare avanti il cammino dell’umanità.

 L’uomo, lasciato senza ideali, si riduce ad una creatura spinta da meri impulsi, abbandonando l’utopia perde la volontà di fare la storia e la capacità di comprenderla.

 Ma attenti! Bisogna stare attenti alle utopie di oggi, ai sogni di oggi, bisogna far sì che i sogni rimangano ancorati ai veri valori della vita e non ad un orizzonte culturale che enfatizza il culto dell’immagine, dei soldi, della prestazione, del risultato a qualsiasi costo.

 Stiamo attenti questo è l’orizzonte culturale che ci sta appiattendo, ci sta adeguando, tutti. E la mafia ringrazia, perché è il suo orizzonte culturale moltiplicato per dieci, ma non è solo il suo ma anche quello di chi è potente, di chi persegue il preciso disegno di mantenere in eterno il disagio sociale, il bisogno, la disoccupazione e tutte le altre calamità sociali, per potere poi intervenire, con una intermediazione interessata, per risolvere il problema del singolo ed ottenerne il consenso, per gestire potere sui cittadini ridotti a sudditi.

 È difficile non ricordare le parole scritte da Sciascia nel suo racconto “Il quarantotto” quando Tancredi denuncia nel dialogo con lo zio, gli esiti del Risorgimento nel meridione, dice: “Quella del 48 più che una vera trasformazione è un “modo di sostituire l’organista senza cambiare né strumento, né musica”, un gesto che viene ripetuto anche dal principe di Salina nel romanzo di Tommasi, basta mutare i quadri appesi alle pareti delle case aristocratiche, togliendo i ritratti dei re borbonici, per mettersi dalla parte del vincitore di turno ed accogliere Garibaldi e i suoi ufficiali nelle dimore siciliane.

Era il 1860, e ancora oggi il romanzo della storia si ripetete perpetuamente. Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. Diceva Paolo Borsellino.

 Ed è vero la mediazione politica e la mediazione mafiosa hanno sostituito nel sud le essenziali funzioni dello Stato e del mercato. Un’economia pubblica senza spirito pubblico e un’assistenza senza efficienza hanno devastato la società civile favorendo l’educazione al favore, alla clientela, alla fuga dalla responsabilità. Così si corre il pericolo che il contrasto alla criminalità organizzata continui ad essere delegato a pochi eroi isolati, senza che la società si assuma le proprie responsabilità.

 Allora, auguro ai giovani di avere il coraggio di essere inadeguati oggi rispetto a questo orizzonte culturale, di impegnarvi nel costruire nella quotidianità una nuova dimensione perché possiate essere un futuro migliore, perché, vedete cultura della legalità è qualcosa di più della semplice osservanza delle leggi, delle regole; è un sistema di principi, di idee, di comportamenti, che deve tendere alla realizzazione dei valori della persona, della dignità dell’uomo, dei diritti umani, dei principi di libertà, eguaglianza, democrazia, verità, giustizia come metodo di convivenza civile.

 Concludo ringraziando tutti voi, e ringraziandovi faccio mie le parole di Don pino Puglisi:

“…è soltanto un segno per fornire
altri modelli,
soprattutto ai giovani.
Lo facciamo per poter dire:
dato che non c’è niente,
noi vogliamo rimboccarci le maniche
e costruire qualche cosa.
E se ognuno fa qualche cosa,
allora si può fare molto.”

 
Salvatore Monetti