CANESTRA DI FRUTTA
La “canestra di frutta” è un dipinto che ha una rilevanza fondamentale per la carriera artistica del Caravaggio. Il quadro fu realizzato per il Cardinale Federico Borromeo, che fu il fondatore della Biblioteca Ambrosiana e nel 1618 corredò la biblioteca con una raccolta di statue e di quadri e tra cui un dipinto dell’artista più famoso dell’epoca.
La Canestra di frutta, rappresenta l’unico esempio
di “natura morta” autonoma del pittore, dove l’umile oggetto
naturale diventa protagonista, rilevandosi contro il
fondo chiaro compatto, vivendo plasticamente, per i rapporti fra luci e ombre,
per il brillio degli acini d’uva,
per la rotondità lucente della
mela, del limone
e della pesca, per la rugosità dei fichi, per il distendersi o
accartocciarsi delle foglie. Quest’opera nella sua magnifica
evidenza, nell’equilibrio compositivo fra pieni
e vuoti, nel rapporto reciproco
dei colori assume una vitalità intensa e si colloca
fra i capolavori della pittura caravaggesca. All’intorno di questo dipinto traviamo dei massaggi precisi che solo un occhi colto e attento può cogliere.
Proviamo a scoprirli:
Nel vangelo
di Giovanni troviamo: «Io sono la vite e voi i tralci». Gesù dice che siamo
parte della stessa
pianta, siamo come le scintille nel fuoco, come una goccia nell’acqua, come il respiro nell’aria. Con l’incarnazione, innesto
di Dio nell’umano, è accaduta una cosa straordinaria: il vignaiolo si è fatto vite, il
seminatore seme, il vasaio si è fatto argilla, il Creatore creatura. Ma l’uva è anche la rappresentazione di Bacco il dio della
viricoltura che si appassionò alla
caccia e amava spesso andare in giro per i boschi e le campagne; un giorno fece la sua
scoperta più bella, la vite, o meglio un grappolo d'uva: lo prese, lo premette in una
coppa d'oro e ne
fece uscire
un
liquore
color porpora, era nato il vino. Assaggiato,
la prima impressione
fu
di un
nuovo nettare che fa dimenticare la stanchezza e le pene, che dà un leggero senso di ebrezza e di euforia; lo
fece assaggiare a tutti, le ninfe, Sileno, volle che lo bevessero i Satiri, gli Egipani, le Driadi e le Amadriadi e tutte le divinità del bosco. Da quel giorno
presero vita numerose feste a base di vino, dove si faceva baldoria e il giovane Dioniso cominciò a dire cose che non avevano senso, insomma a delirare. Questo
stato di ebrezza e delirio divenne regola e fu parte del culto di Dioniso.
Caravaggio associa nel suoi
dipinti sempre il linguaggio religioso a quello classico. La religiosità del Caravaggio è umile, direi evangelica, i suoi personaggi
appartengono al popolo ma conservano una grande dignità con un profondo impatto emotivo.
La pera è un frutto antichissimo, sembra che venisse coltivata già nel Neolitico. Era associato a Venere poiché la forma allargata verso il basso evoca l’immagine del ventre femminile. Solitamente la pianta, dal frutto dolcissimo, dal valore positivo per la sua dolcezza. Il suo significato è benessere, simbolo di Gesù e della Vergine.
Il fico era il simbolo di protezione e di salvezza. Albero e frutto sacro, il Fico è l'emblema della vita, della luce, della forza e della conoscenza. Il fico era l'albero sacro ad Atena, dea della saggezza e a Dioniso dio del vino. Platone ritiene il Fico amico dei filosofi. Nella tradizione antica il Fico riveste quindi un significato di immortalità e di abbondanza ma anche di protezione. Nell’antica Grecia, si narra che Gea fosse amata da Zeus e voleva unirsi con lei ma Gea scappa trovando protezione sotto un fico per ripararsi dai fulmini di Zeus. Quindi, anche un simbolo di protezione.
Per comprendere appieno questo frutto dobbiamo guardare all’interno di messo
e qui ci viene in aiuto la cultura latina. Dobbiamo risalire a Plinio il vecchio che classifica la pesca nella “storia
naturale” un frutto costituito
da tre parti: la polpa; il nocciolo, e il seme, (all’interno del nocciolo), e qui
abbiamo un simbolo
trinitario,
religioso ma la pesca rispecchia anche l’essere
umano che è costituito dal
corpo, dalla carne, dalle ossa
e dall’anima. In più questa pesca dipinta dal
Caravaggio ha il fogliame e le
foglie della pesca hanno la stessa forma della
nostra lingua. Quindi
la pesca era il cuore
e le foglie la verità
che parte direttamente dal
cuore.
La mela non è uno
dei simboli positivi in questo
quadro, in quanto richiama al peccato
originale, inoltre è una mela pacata che sta cominciando a perdere vitalità. Caravaggio dipingendo questo frutto invita a vivere la
vita godendo di
tutto quello che abbiamo ma con moderazione
e responsabilità, perché prima o poi
questa vita finisce e noi saremo giudicati per il nostro operato.
Infatti, l’ultimo
elemento straordinario è la luce che illumina questo canestro
di frutta. Il colore caldo e dorato
della
luce allude alla presenza divina. Nel quadro ogni oggetto è vivificato dalla luce divina, che si sofferma su ogni cosa e crea questi magnifici effetti: riflessi,
trasparenze, bagliori... Inoltre la
luce pervade interamente lo spazio,
la canestra occupa solo metà quadro. La metà superiore
del quadro è tutta
occupata da questo colore giallo oro: allusione alla presenza di Dio e alla salvezza nella vita eterna. È il mondo del trascendente, regno dello spirito che
si contrappone alla natura
terrena delle cose. Spostandoci sulla sinistra
del dipinto, si nota che
la luce tende a diminuire, fino a sparire e tutto rinsecchisce. Per questo la scena
è completamente
priva di sfondo e la cesta
è decentrata e posta sull’orlo del tavolo, quasi
in bilico, ciò suggerisce un senso di precarietà e
transitorietà. In qualche modo questo quadro è animato in quanto si sta svolgendo il passaggio dalla vita
alla morte. Credo che il Caravaggio ha voluto proporci la sua idea del mondo reale, la sua verità sulla natura,
una natura
imperfetta, in un
certo senso difettosa,
cagionevole e caduca ma come in altri dipinti ha
espresso in modo chiaro ed
inconfutabile la sua visione estetica, il suo modello
sulla bellezza, che reputava sfuggente ed effimera, come del resto la sua la stessa esistenza
vissuta intensamente e senza sosta. Ottenne gloria
ed onori, si guadagnò l’affetto e la protezione dei potenti e dovunque andava la fama di un talento non comune lo precedeva. Conobbe la fuga, la paura, il disonore,
il disprezzo. Cercò la rissa, la
violenza e lo scontro. E la sua morte è
stato un cattivo scherzo di un destino crudele e senza pietà.
Salvatore
Monetti
Canestra di frutta (nota anche con il nome antico di "Fiscella") è un dipinto ad olio su tela di 31x47 cm realizzato nel 1599 dal pittore italiano Caravaggio (1571-1610) e oggi conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.