In una serie di vicende che hanno il sapore del racconto orale, si dipanano i vissuti di persone immerse in atmosfere cariche di un vitalismo parco, ma denso: a tratti vibrante, in cui la voce di donne anziane ha il compito di ricucire il significato complessivo e realistico di un mondo ormai al suo declino. Tre donne, come le Moire greche intente a tessere il disegno delle singole esistenze, facendolo riemergere dai flutti, dove l’oblio lo avrebbe condannato. Viene in mente l’esigenza che ha ogni naufrago di gridare il suo nome prima di scomparire. Carmen Togni ridà vita a luoghi, vicende, persone dei quali un mondo vocato all’auto contemplazione ed all’anestesia di massa non consente di ascoltarne il lascito. Nemmeno se tali vissuti son degni di trame complesse e accattivanti, come la storia tragica dei leoni a Bagno o la vicenda del ballo, con quello strano intreccio di sensazioni anche scomode, se associate all’età delle protagoniste, ma cariche di significati se rapportati al nodo cruciale che la vita presenta spesso a tutti noi. E allora Carmen sembra tornare a chiederci, chissà come sarà stata l’esistenza dei nostri antenati? Il loro immaginario così differente da quello vincolato alla comunicazione virtuale, così denso di corpi e terra, così modulato su ritmi produttivi e scansioni vitali, ancora dominati dalla civiltà contadina.